Coronavirus - Le mutazioni comparse nel genoma del Covid-19 nella sua corsa in giro per il mondo, sarebbero circa 6800. Tra queste 6800 mutazioni, la maggior parte potrebbe avere penalizzato il virus, mentre non ci sono prove se qualcuna ne ha aumentato la contagiosità. La maggior parte delle volte, le mutazioni sono avvenute come risultato dell'adattamento del virus all'uomo, ma sarebbero stati indotti proprio dai meccanismi di difesa immunitaria delle persone infettate. I risultati emergono da una ricerca internazionale coordinata dall'University College di Londra. Sono stati analizzati i genomi virali recuperati da 15.000 pazienti Covid di 75 Paesi, i ricercatori hanno identificato 6.822 mutazioni, di cui 273 sono comparse più volte e in maniera indipendente. 31 sono state studiate attentamente perché si sono manifestate almeno 10 volte nel corso della pandemia. I ricercatori hanno valutato se fossero diventate particolarmente comuni in alcuni 'rami': questo segnale indicherebbe infatti che le mutazioni hanno conferito un vantaggio evolutivo rispetto ai virus precedenti che ne erano sprovvisti.
Il coordinatore dello studio, Francois Belloux dichiara "abbiamo osservato che nessuna delle mutazioni candidate sembra portare benefici al virus". La famosa mutazione D614G della proteina Spike che nelle settimane scorse aveva fatto ipotizzare l'esistenza di un ceppo più contagioso rientra in ciò. Alcune delle mutazioni più comuni sembrano essere neutrali, mentre "la maggior parte è leggermente deleteria per il virus". A indurle sarebbe stato il più delle volte lo stesso sistema immunitario dell'uomo grazie all'azione di difesa innata esercitata da alcuni enzimi delle cellule, capaci di modificare il materiale genetico del virus invasore attraverso l'Rna editing. L'articolo è stato ripreso dall'Ansa
News48
Redazione C48